STORIES FROM THE WONDERLAND - CHAPTER 2: Dorothy Circus Gallery | Group Show

30 Novembre 2007 - 6 Gennaio 2008

Dorothy Circus Gallery e Gianluca Marziani guidano concetti e incroci estetici per la prima mostra di un nuovissimo spazio espositivo. Siamo a Roma con una concept-gallery di ultima generazione dalle idee chiare e dall’identità altrettanto chiara: indagare specifici territori linguistici, orientabili tra pop surrealism e lowbrow, figurazione estrema e realtà pittoriche indipendenti. A tenere i fili di Dorothy Circus ecco Alexandra Mazzanti e Jonathan Pannacciò, anime complementari che hanno ideato il progetto nella sua complessità tematica e curatoriale. Un occhio internazionale e antagonista che attraverserà i continenti sul filo rosso di una nuova e crudele bellezza.

Si parte con STORIES FROM THE WONDERLAND: molteplici visioni dentro universi in cui ogni artista ritrova la sua geografia elettiva. Variano le atmosfere, gli stili, il carico emotivo, la tensione psicanalitica. Non cambia tra gli artisti la volontà di raccontarci altri piani del reale, territori ulteriori che appartengono ai surrealismi insinuanti della mente. Il mondo esterno diventa così un luogo impervio e imprevedibile, attraente e respingente, miscuglio di crudele e sublime, normale e assurdo, morbido e spigoloso. Giorno e notte si compenetrano in una fusione di sentimenti e attitudini: ogni cosa contiene qui il suo doppio e molto di più, richiama il reale con regole proprie e riconoscibili. Nel paese delle meraviglie le apparenze ingannano e gli inganni superano le molte apparenze..

 

Wonderland come luogo ideale dove si metabolizzano le paure ancestrali, il viaggio onirico, gli archetipi dell’infanzia, le aspirazioni oltre le piattezze del quotidiano. Wonderland come territorio d’accoglienza per coloro che rileggono la storia, gli eventi quotidiani, i piccoli e grandi drammi sociali. Wonderland come metageografia in cui individuo e società si fondono nelle visioni morali di una pittura emozionale, classica e al contempo dissacrante, ben congegnata per tecnica e soluzioni, oltre il vincolo limitante dei generi.

STORIES FROM THE WONDERLAND è un complesso introdursi in una pittura che rispecchia lo spirito più contaminato del nostro tempo. Diverse ipotesi figurative che mostrano la visionarietà e il suo plausibile realismo. Paesaggi, corpi, animali, storie, natura, oggetti: il mondo si misura con la cifra metabolica degli artisti, tutto somiglia al reale eppure percepisci atmosfere sospese, un senso di attesa spasmodica e silenziosa, di dubbio o pericolo, di silenzi anormali o strani rumori in arrivo.

Damon Soule eleva il caos entropico al suo punto di giusta sintesi surreale. La cinetica compositiva dei corpi si sfalda e (ri)compatta in un incessante processo gravitazionale. Paesaggi rigogliosi, corpi umani e animali, oggetti e feticci convivono in una visione a campo panoramico dagli impatti filmici e dai complessi ritmi cerebrali. Ci sono geometrie cinetiche, frammenti naïf, cromatismi pop e un costante sentore postatomico che unisce le vicende in un panorama visionario ormai robotizzato. La pittura diventa un flusso di geometrie chimiche in cui tutto si parcellizza come nella matematica del digitale. Buckminster Fuller sembra fondersi col Doganiere Rousseau in una rinnovata architettura del mondo tra apocalisse e mistero. E’ lo spazio abitabile che configura nuove simulazioni del futuro.
Kathie Olivas sceglie la misura umanoide dei monelli e racconta storie imprevedibili dai canoni mutanti. 

Tutto ruota attorno agli archetipi del mascheramento e delle molteplici personalità. Conigli, uccelli, diavoli, teschi, astronauti e altri ruoli con cui scopriamo questi piccoli postumani dalle sembianze bambinesche e dai “costumi” imprevedibili. I nostri bimbetti hanno tentacoli o piccole pinne al posto di gambe e braccia, i loro occhi sono tagliati a goccia orizzontale, i gesti somigliano al carnevale quotidiano di una normalità domestica nelle mani di bambini volenterosi. Attorno a loro cresce un paesaggio desolante e dispersivo, conferma spaziale di un mondo irrimediabilmente cambiato. Un mondo che sembra lasciarli soli con la propria libertà e un civile interrogativo sul futuro.

Joshua Clay ci catapulta tra le femmine fetish del suo immaginario crudele. Sagome aggressive e filiformi, capelli lunghi e neri, pelli chiare e trucco evidente, abbigliamento accattivante e teatrale per un romanticismo dark dove il sangue colora l’atmosfera e il sentore generale. Coltelli tra le mani, sguardi intensi, lunghi cappotti che salgono come onde di tessuto: il climax di Clay ci riporta alla cultura erotica di Skin Two e Marquis, verso riviste che esaltano la postura costruita del feticismo fotografico. Ma è solo un pretesto per ribaltare il culto fetish in azioni estreme che non lasciano scampo ai malcapitati fuoricampo. Una saga di vino e sangue, Spagna e vecchi teatri parigini, cuori strappati ed eleganze che ammaliano. Storie di donne che fagocitano le loro prede.

Tim McCormick invita il nostro sguardo ad ascoltare una natura sempre più sferzante. Sembra di sentire il vento che lambisce i volti, il rumore delle foglie e la crescita degli alberi dove non penseresti. Corpo e paesaggio iniziano a compenetrarsi senza sosta, dentro un dinamismo globale che mescola le forme, moltiplica i dettagli, fino a masticare frasi e parole in un vortice metabolico del mondo. Anche il colore appartiene al dominio della natura, come se le pennellate si distendessero lungo il flusso lenitivo degli elementi in azione. In questo paesaggio appaiono volti monolitici, corpi compatti e alcuni animali che animano la vita da parco dei protagonisti in scena. Ci resta il dubbio che qualcosa non sarà più come prima. Che il mondo sia un luogo di epocali flussi mutanti. E che i corpi stiano lottando (dentro e fuori) come non avevano mai fatto.

Nicoletta Ceccoli ci invita a scivolare nel vento sibilante delle sue protagoniste diafane. Il circo del quotidiano ispira le simpatiche ragazzine dalla grande testa e dal corpo magrissimo, sorta di docili biancaneve in un quotidiano di paradossi e solitudini teatrali. Le fanciulle volano come aquiloni o farfalle, esplodono come fiori rigogliosi, galleggiano come uova fragili, ingabbiano uccelli dentro un corpo di crinolina… pure magie visionarie dove il gioco determina il ritmo armonico della scena, l’intelligenza sottile delle citazioni, l’atmosfera tra fiaba e pittura fiamminga. Per la Ceccoli si tratta di piccoli racconti surreali, quinte sceniche in cui sembra di sentire il suono morbido di uno strumento a corda, il rumore della natura, la voce flebile delle ragazzine in azione. Scene concluse dove Jan Vermeer e cultura circense si uniscono per la (ri)costruzione dell rsquo;inaspettato.

Ahren Hertel esalta gli effetti catartici di una pittura dai modi morbidi ma dove il dramma interiore evoca rimandi religiosi, letterari, cinematografici. Anche qui torniamo alle giovani età, alle adolescenze inquiete, ai turbamenti generazionali in cui tutto si mescola senza confine ideologico. Un viaggio nella solitudine di individui meditabondi, fermi davanti allo sguardo indiscreto che disvela il loro dubbio, le paure ancestrali, la voglia di lottare ma anche il cedimento davanti alla pressione del quotidiano. Scorre sangue nella pittura di Hertel, in sintonia con le tensioni simboliche di un modello pittorico (il Pop Surrealism in generale) che mette le mani nel dolore, nella carne sofferente, nel sacro cuore senza veli. Hertel parla per ritratti a piano ravvicinato e ritrae il dolore nascosto con la forza onesta di una sovrarealtà rivelata.

Andrea Ambrogio ripartisce l’immagine come un puzzle deviante dalle tessere “tossiche”. La frammentazione è totale, così come la voluta incoerenza cromatica e l’impatto finale delle architetture figurative. L’opera agisce per sovrimpressioni mimetiche, dislocando memorie e impulsi, denunce e passioni, sintonie e divergenze. Ritroviamo la cultura massimalista di Hundertwasser e l’istinto infantile di Jean Dubuffet dentro un chiaro urlo da metropoli pop. Luoghi, persone, fantasie ma anche la realtà vissuta, metabolizzata nelle sue percussioni ad elevato tenore visivo. L’arte di Ambrogio è orgiastica per selezione e composizione, diaristica per motivazioni interiori, esplosiva per natura conquistata. Si accende coi suoi frammenti impazziti, quasi a ricordarci la generosità con cui ogni accostamento crea catene di senso e spunti morali.


Buon viaggio. E che la meraviglia sia sempre con Voi.