Dopo il successo della sua collaborazione con la Dorothy Circus Gallery in occasione della collettiva “God is her Deejay” e dell’evento speciale “Printemps Parisien”, e dopo aver esposto i suoi dipinti presso la fiera d’arte Scope New York, l’artista Iraniana Afarin Sajedi torna a Roma per “Illusion”, la sua prima personale ufficiale ospitata e curata dalla DCG.
In questa mostra, inaugurata il 16 Aprile 2016, il pubblico viene condotto e immerso nella surreale atmosfera delle nuove opere realizzate dall’artista. Il tema è l’illusione, da cui il titolo della mostra, raccontato attraverso cinque sconvolgenti tele di grande dimensione, che accolgono lo spettatore nella Red Hall delle Dorothy Circus Gallery.
Questi splendidi dipinti sono caratterizzati da una figura femminile centrale che emerge da uno sfondo delicatamente colorato, spesso interrotto da elementi naturali che attraversano lo scenario. Le donne rappresentate si rivolgono alle identità umane, siano esse di sesso maschile o femminile. I volti delle donne spiccano dalla tele per comunicare direttamente con ogni osservatore; creano un silenzioso dialogo fatto di suggestioni ed emozioni, rivolto a scrutare e colpire lo sguardo attento delle persone che, stupite, ammireranno i suoi lavori. Nonostante apparentemente sommerse in un profondo mare di quiete, le donne dipinte da scuri pennelli, hanno l’intenzione di indagare l’animo umano, portando alla luce i temi legati sia a determinate realtà socio-politiche che all’esperienza delle emozioni più intime.
La parola chiave “illusione” si mescola alla parola “pace”, che va intesa non come la cessazione di ogni dolore, ma come un nuovo punto di vista dal quale l’atto di sognare e di amare acquista importanza, sprigionando queste due forze primarie che, secondo l’artista, dominano il mondo femminile. Tale costante può essere metaforicamente visualizzata in ciascuno di questi lavori, in cui ogni cosa è enigmatica, sospesa, indefinita, costantemente al limite tra realtà e immaginazione. L’illusione si riferisce anche al regno della magia, in cui l’atto del creare una realtà ingannevole può raggiungere un tale successo da generare un’utopia, nata dall’illusione stessa, in cui è facile rimanere intrappolati.
Mentre nella sua passata produzione artistica, i volti affioravano da uno sfondo profondo e scuro, descrivendone una forte sofferenza, ora le figure sono quiete e vestite con accessori che rimandano al Futurismo. Ancora una volta, gli elementi chiave sono ripetuti in tutti i dipinti, creando forti significati simbolici che generano una particolare atmosfera in cui le donne subiscono un’attento studio da diversi punti di vista.
La serie ha origine con un profilo, da cui spicca un pesce, usato come insolito e surreale copricapo; continua poi con la prima vista frontale, dove la donna sembra avvilita, con gli occhi chiusi, raccolta a meditare, coperta da un elmo che la protegge.
Questo elemento tiene la donna distaccata dal mondo esterno, così da poterle concedere di dedicare tutte le sue attenzioni esclusivamente al pesce, che ora si trova disteso proprio sotto il suo mento. Nella seconda visuale frontale, il volto si rivolge allo spettatore, fissandolo con il suo sguardo lucente, come per cercare qualcuno con cui comunicare. Tutto ad un tratto ecco che il pesce sparisce dalla scena, lasciandone pochi frammenti, e alla fine un taglio fotografico interrompe la serie mostrando la stessa donna in un posizione asimmetrica, coperta da un elmo che, prevalendo la composizione, la sovrasta. I suoi occhi sono coperti da curiosi occhiali da sole, che sembrano voler cessare il suo desiderio di confidarsi.
Insieme a queste grandi tele, Afarin Sajedi esporrà dei piccoli lavori che propongono un differente approccio alla sua produzione artistica. Influenzati dall’interesse dell’artista per l’arte classica e le illustrazioni, questi lavori percorrono un flusso narrativo, raccontando una storia che è più figurativa e meno evanescente agli occhi dell’osservatore. Più di un personaggio appare sulla scena, mentre la figura umana presentata è ambigua e delle volte sostituita da interi esseri animali o solo da alcune loro parti. Nuovamente, il pesce attrae l’attenzione come un riferimento simbolico che allude al flusso delle emozioni, che pulsano dentro le vibranti vene delle donne ritratte. I volti, interrogando gli osservatori, invitano a scoprire i significati più profondi di questa simbologia. I loro occhi sono quasi sempre chiusi, come ad evidenziare non solo lea privazioni che queste donne sono costrette a subire quotidianamente, ma anche la possibilità di osservare il mondo attraverso un “una propria visione” più intima e non necessariamente fisica. La loro esperienza e la loro abilità di percepire le emozioni, è ciò che le rende ai nostri occhi forti e estremamente affascinanti.